Dove nasce l’amore?

Dimmi, dove nasce l’amore: nel cervello o nel cuore?

(W. Shakespeare: Il Mercante di Venezia, Atto III, Scena 2)

Tell me where is Fancy bred,
Or in the heart, or in the head?
How begot, how nourished?
Reply, reply.

It is engender'd in the eyes,
With gazing fed; and Fancy dies
In the cradle where it lies.
Let us all ring Fancy's knell:
I'll begin it, - Ding, dong, bell.

Traduzione:

Dimmi dove nasce amore,
Nella testa o dentro il cuore?
Quando è nato, chi lo nutre?
Dillo, dillo per favore.

È dagli occhi generato,
dagli sguardi alimentato; infine muore
nella culla dove è nato.
Per lui a morto la campana,
din don, ora, ecco, risuona.

Riporto un articolo tratto dal web riguardante appunto questa famosa affermazione. Per chi non avesse visto il film, io consiglio vivamente di provvedere quanto prima. Buona lettura.

IV GIORNATE ASCOLANE PSICHIATRICHE
8 — 10 MAGGIO 2003

” L’ARCIPELAGO DELLE EMOZIONI ”
Tra vissuto, comprensione e spiegazione scientifica.
ATTI DEL CONGRESSO

IL CERVELLO EMOTIVO

Massimo PICCIRILLI

Cattedra di Psichiatria e Psicologia Medica, Università di Perugia
Unità di Riabilitazione Cognitiva, Azienda Ospedaliera di Perugia

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Dimmi, dove nasce l’amore: nel cervello o nel cuore?

(W. Shakespeare: Il Mercante di Venezia, Atto III, Scena 2)

Le emozioni sono da sempre campo di interesse privilegiato per filosofi e poeti e solo recentemente sono stati considerati anche come possibile oggetto di indagine sperimentale. In particolare la relazione tra emozioni e cervello era stata ipotizzata alla fine dell’ottocento grazie all’opera di tre illustri pensatori quali William James, Sigmund Freud e Charles Darwin. Successivamente tuttavia l’argomento è stato di fatto trascurato dalla scienza ufficiale per il prevalere dapprima della dottrina comportamentista e poi del cognitivismo che i detrattori definiscono appunto come lo studio di una “mente senza emozioni” ed i cui contributi, pur con eccezioni di notevole importanza, hanno certamente rappresentato un aspetto marginale rispetto al contributo fornito allo studio delle funzioni cognitive.

Negli ultimi anni si è osservata invece una decisa inversione di tendenza che ha influenzato molti aspetti della vita quotidiana; le emozioni sono così diventate un argomento stabile di discussione nelle riviste e nei programmi televisivi di maggior successo; d’altra parte la pubblicità, che ovviamente è stata sempre indirizzata a sollecitare le componenti emotive del cliente, ma in modo implicito, se non proprio occulto, fa ormai riferimento in modo assai esplicito alle emozioni (così una ditta propone il giro d’Italia in 80 emozioni, un’altra promette emozioni mondiali ed emozioni è il nome di alcuni noti cioccolatini).

Enorme risonanza ha poi avuto la nozione di intelligenza emotiva, con ripercussioni anche pratiche sulla vita e l’organizzazione scolastica e lavorativa.

Tuttavia definire cosa è una emozione e come è possibile indagarla resta assai problematico.

James, nel 1884, in What is Emotion descriveva le caratteristiche peculiari dei processi emotivi: “Immaginatevi per ipotesi improvvisamente privati di tutte le emozioni che il mondo vi ispira e cercate di immaginarlo come se esistesse solo per se stesso, senza il vostro giudizio favorevole o sfavorevole, senza un vostro coinvolgimento timoroso o fiducioso… nessuna parte dell’universo avrebbe più importanza di un’altra e tutto l’insieme delle sue componenti e dei suoi eventi perderebbe ogni significato … qualunque sia il valore, l’interesse e il significato che permea il nostro mondo interiore, tali qualificazioni non sono altro che regali della nostra mente”. La caratteristica distintiva delle emozioni sarebbe quindi il meccanismo che consente di attribuire un valore – positivo o negativo – all’informazione sensoriale di cui si fa esperienza. Si tratta di un processo profondamente diverso rispetto alle modalità del funzionamento cognitivo.

Un esempio delle differenti modalità di elaborazione tra i due sistemi può essere fornito dalle facce chimeriche di Jaynes. Ogni faccia è composta di due metà, una sorridente, l’altra rattristata, disposte in modo speculare (cioè in una la parte sorridente è a destra e l’altra a sinistra e viceversa nell’altra). In questa situazione l’elaborazione cognitiva ci informa che le due facce sono costituite da elementi identici, semplicemente disposti in posizioni differenti. Nonostante ciò le due facce generano un differente stato emotivo ed una delle due viene giudicata più allegra rispetto all’altra.

Il sistema emozionale quindi elabora le informazioni utilizzando regole e procedure profondamente diverse rispetto al sistema cognitivo. Queste regole sembrano principalmente il risultato di un processo evolutivo. Darwin, in “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali” (1872), aveva sottolineato l’importanza delle funzioni emotive ai fini della sopravvivenza: certamente interpretare in modo corretto le intenzioni, amichevoli od ostili, di chi ci sta di fronte è indispensabile per poter sopravvivere. Secondo Darwin, le emozioni sono quindi in primo luogo una modalità di risposta alle situazioni di emergenza che riguardano i bisogni fondamentali dell’organismo (cibo, sesso, territorio). Di conseguenza, dal momento che per essere efficaci queste risposte devono essere comprensibili da parte di chi le osserva e devono quindi divenire un codice di segnalazione condiviso, esse assumono anche un significato di comunicazione e divengono un mezzo di organizzazione sociale. In effetti ad esempio proprio l’incapacità di riconoscere il significato emozionale delle espressioni facciali è una delle cause più frequenti, ma anche più subdole perché di difficile diagnosi, della cosiddetta incompetenza sociale di alcuni pazienti cerebrolesi.

Ora, mentre alcuni di questi schemi comportamentali utili alla sopravvivenza possono essere determinati geneticamente, negli organismi più complessi l’eredità genetica non specifica direttamente i comportamenti adeguati ma fornisce le basi per apprenderli con l’esperienza nel corso della vita. Ciò ovviamente produce l’enorme vantaggio di una flessibilità comportamentale continua nei confronti dell’ambiente di vita in contrapposizione alla rigidità prevista dai sistemi precostituiti e, proprio in quanto tali, non modificabili.

Le basi per l’apprendimento sono rappresentate dai segnali di dolore e di piacere, che costituiscono appunto uno dei meccanismi ereditati geneticamente per imparare i comportamenti adattativi: essi rappresentano l’input che la rete neurale utilizza per imparare a non ripetere ed evitare i comportamenti che causano l’arrivo di segnali di dolore e viceversa a mantenere e cercare i comportamenti che causano l’arrivo di segnali di piacere.

Il segreto evolutivo consiste nel fatto che questi segnali possono essere autogenerati dall’organismo: è questa una capacità che si acquista per via evolutiva. Siccome alcuni comportamenti aumentano la probabilità di sopravvivenza ed altri la diminuiscono, si selezionano quegli organismi che autogenerano i segnali di piacere e di dolore utili ad apprendere durante la vita i comportamenti più vantaggiosi ai fini della sopravvivenza. Input inizialmente neutri, venendo associati a input autogenerati di piacere e dolore, acquisiscono anch’essi la capacità di guidare l’apprendimento. Ciò implica anche un legame tra il comportamento e la conoscenza delle sue conseguenze. La programmazione di una sequenza comportamentale viene accompagnata dalla anticipazione-previsione dei risultati. Il successo e la ricompensa conducono al consolidamento, l’insuccesso e la punizione conducono all’estinzione. In altri termini un organismo che associasse la vista di un serpente velenoso ad un segnale positivo avrebbe assai scarse possibilità di sopravvivere.

Il sistema emozionale quindi consente di attribuire un valore non solo all’informazione sensoriale di cui si fa esperienza ma soprattutto alla relazione che si stabilisce tra una determinata informazione sensoriale e una determinata sequenza comportamentale (cioè quella che si è rivelata come la più efficace).

In definitiva il sistema emozionale può essere considerato a tutti gli effetti un sistema adattivo. Alla stessa stregua del sistema cognitivo prevede una analisi dell’informazione, la sua elaborazione, l’organizzazione della risposta e la memorizzazione. A differenza del sistema cognitivo si tratta però di un sistema di emergenza: necessita quindi di una analisi rapida – a costo di essere grossolana – e di una altrettanto rapida risposta – a costo di essere stereotipata. Così, nell’esempio di LeDoux, se durante la passeggiata nel parco scorgiamo una forma ricurva, la reazione è immediata: il sistema emozionale blocca ogni altra attività e produce la risposta già approntata per occasioni simili; sarà poi il sistema cognitivo a valutare la reale efficacia del comportamento fino a stabilire eventualmente che analisi e risposta sono state erronee perché non si trattava di un serpente ma di un bastoncino o al limite di una specie non velenosa.

Il sistema emozionale si basa quindi su una sorta di cortocircuito che bypassa il sistema cognitivo. Un corollario delle precedenti osservazioni è quindi che le reazioni emotive sono generate inconsapevolmente, come d’altronde la quasi totalità dei processi cerebrali. L’esperienza soggettiva di essere emozionati (sentimento) si verifica quando al sistema della consapevolezza giunge l’informazione che un modulo emotivo è in attività.

Lo stesso meccanismo riguarda i processi di memorizzazione. Dobbiamo distinguere il ricordo dell’emozione, con le sue caratteristiche temporali, spaziali e contestuali, con riferimento alla esperienza vissuta personalmente che è possibile narrare in modo esplicito, dal ricordo emotivo che è invece implicito, non legato cioè al ricordo autobiografico e che corrisponde principalmente ad una memoria corporea (come per gli apprendimenti motori quali andare in bicicletta o nuotare). I due processi agiscono in parallelo ed in modo coordinato. Tuttavia uno stimolo può innescare una memoria implicita senza raggiungere la consapevolezza: in questo caso si verifica uno stato di eccitazione emotiva di cui non si conosce l’origine, fenomeno che caratterizza molti tipi di sofferenza psichica. Un esempio di dissociazione tra memoria implicita e memoria esplicita è fornito dal fenomeno di Claparède. Non convinto che la perdita di memoria dei pazienti amnesici fosse completa, Claparède ideò uno stratagemma: metteva una puntina tra le dita in modo da pungere il paziente al momento di stringergli la mano per salutarlo. Si trattava di pazienti con amnesia anterograda globale, pazienti cioè che non riescono a trattenere in memoria alcuna nuova informazione e quindi ad esempio non riconoscono il medico pur avendolo visto numerose volte, negano esplicitamente di essere mai stati nel suo studio in precedenza e così via. Tuttavia dopo qualche volta i pazienti si rifiutavano di stringere la mano a Claparède. Chiedendo la motivazione di un comportamento così strano (rifiutarsi di salutare) in nessun caso era possibile ottenere risposte che facessero riferimento alla precedente esperienza di essere stati punti. In altri termini l’esperienza corporea implicita determinava un comportamento che la memoria cognitiva esplicita non era in grado di giustificare.

Damasio ha recentemente proposto di considerare questo meccanismo come una modalità generale di funzionamento cerebrale. Secondo la sua ipotesi del marcatore somatico, ogni volta che si ha una interazione dell’organismo con l’ambiente, si verifica una modificazione della rappresentazione corporea. Il corpo possiede quindi la rappresentazione del mondo (“Il cervello pensoso del corpo“) e ad ogni evento corrisponde un marcatore a livello somatico. Sulla base dell’esperienza personale – sempre diversa tra i diversi individui – il marcatore si attiva informando inconsapevolmente il soggetto delle caratteristiche positive o negative di ciò che sta accadendo e guidando così il giudizio decisionale. Particolarmente suggestivi a questo proposito sono i dati derivanti da una serie di indagini che hanno valutato il comportamento di alcuni pazienti cerebrolesi in un gioco d’azzardo. Il soggetto ha di fronte a sé quattro mazzi di carte (A,B,C,D) apparentemente identici e deve semplicemente girare una carta alla volta; su ogni carta è indicata una somma di denaro che si vince o si perde. Ad ognuno viene fornito un capitale iniziale di 2000 dollari: lo scopo è ovviamente quello di avere alla fine una somma di denaro maggiore rispetto all’inizio. Il soggetto però non sa quando il gioco avrà termine (in effetti verrà interrotto dall’esaminatore dopo 100 prove). Il fatto è che i quattro mazzi di carte sono costruiti in modo diverso: quelli A e B consentono vincite molto elevate ma anche le perdite sono elevate cosicché continuando a pescare sempre da questi due mazzi il risultato finale sarà la perdita; quelli C e D invece consentono vincite piuttosto modeste ma anche le perdite sono modeste cosicché il risultato finale sarebbe la vincita. Il comportamento dei soggetti di controllo appare uniforme: all’inizio si osserva una prevalenza delle scelte A e B, poi, dopo circa trenta prove, prevalgono le scelte C e D con qualche residuo tentativo di ritornare alle scelte A e B, e infine, dopo circe 50 prove, le scelte divengono stabilmente C e D. I pazienti con lesioni del lobo frontale mostrano invece un comportamento differente in quanto per tutta la durata del gioco continuano a scegliere le carte A e B; in generale dopo 50 prove hanno esaurito il capitale a disposizione e sono costretti a chiedere un prestito ma nonostante ciò non modificano la loro strategia e continuano nelle scelte che si erano rivelate dannose. Interrogati sulle caratteristiche del rischio legato alle diverse possibilità di scelta, se ne dimostrano consapevoli e sono in grado di fornirne verbalmente una descrizione corretta ma l’analisi razionale, pur essendo adeguata, non è sufficiente a modificare il comportamento. Una possibile interpretazione è rappresentata dal dato che i soggetti di controllo, quando stanno per scegliere una carta che sanno ad alto rischio, presentano le modificazioni neurofisiologiche tipiche di uno stato di attivazione emozionale; al contrario i pazienti con lesione orbitofrontale non sviluppano questo tipo di reazione: secondo Damasio e Coll,, conoscono cognitivamente il rischio ma non lo vivono concretamente, non lo sentono con il proprio corpo; questo avviene perchè la lesione impedisce lo sviluppo del marcatore somatico: l’esperienza non è più in grado di correggere un comportamento rivelatosi inadeguato.

Il ruolo della corteccia frontale mediale nella modulazione delle risposte emotive, con particolare riferimento ai processi di rinforzo e di inibizione, appare confermato da una numerosa serie di dati convergenti. Secondo LeDoux, l’emozione può essere definita come il processo attraverso cui il cervello determina o computa il valore di uno stimolo. Da questo processo derivano – reazioni corporee (interne ed esterne) che ne rappresentano la traduzione specifica, – la consapevolezza dell’importanza di quanto sta avvenendo (sentimento), – l’eventuale attivazione del sistema motivazionale che spinge all’azione. Dal punto di vista neurofunzionale il monitoraggio ambientale e l’elaborazione avvengono a livello dell’amigdala, dove differenti strutture codificano le informazioni in entrata che provengono dal talamo (cortocircuito talamo-amigdaloideo), dalla corteccia sensoriale (via lenta corticale che valuta le caratteristiche cognitive dello stimolo), dall’ippocampo (dati in memoria esplicita), dal cingolo anteriore (arousal emotivo), dalla corteccia frontale (interfaccia tra sistema emotivo e cognitivo). Il risultato dell’elaborazione, oltre a produrre un feedback sulle strutture di partenza, raggiunge da una parte l’ipotalamo e i nuclei del tronco encefalo dove sono organizzate le risposte emotive e dall’altro il nucleo accumbens che funge da stazione di collegamento con il sistema motivazionale.

Questi meccanismi sono stati sufficientemente confermati da dati sperimentali e clinici per quanto si riferisce alla paura; resta da stabilire se modalità simili valgono in generale anche per gli altri aspetti della vita emotiva; è verosimile tuttavia che ogni tipo di emozione abbia un correlato neurofunzionale specifico; In particolare appaiono sostanzialmente differenti da quelli descritti per la paura i processi correlati ai sentimenti “positivi” quali la gioia o l’attaccamento. In queste situazioni la documentazione di una inibizione dell’amigdala sembra un dato di particolare interesse, che resta comunque ancora in attesa di conferma. Allo stato attuale le conoscenze sull’argomento sono in fase di continuo sviluppo grazie soprattutto alle potenzialità degli strumenti più recenti di neuroimaging: molto è noto ad esempio sulle basi biologiche del disgusto. D’altra parte è sempre opportuno rammentare che “se il nostro cervello fosse così semplice da poterlo comprendere, noi saremmo così semplici da non poterlo comprendere”.

In ogni caso la concezione del sistema emozionale come sistema adattivo ha modificato progressivamente l’idea di una inevitabile contrapposizione tra emozione e ragione. Secondo una nota metafora, le emozioni sono cavalli selvaggi che l’intelletto deve imbrigliare come un auriga. Questa interpretazione ha trovato una potente validazione scientifica nella teoria del cervello trino di Paul MacLean. Il cervello umano è il risultato della organizzazione gerarchica di tre strutture differenti, ognuna formatasi in diverse epoche dell’evoluzione. La prima (il cervello rettiliano), corrispondente alle strutture situate alla base del cervello, controlla il comportamento automatico ed istintivo. La seconda (il cervello paleomammifero), corrispondente alle strutture identificate come sistema limbico, controlla l’espressione delle emozioni, l’aggressività e il comportamento sessuale. La terza e più evoluta (il cervello neomammifero), corrispondente alla neocorteccia, presiede al pensiero propriamente razionale e alla capacità di risoluzione dei problemi. Implicita nel modello è l’idea che, date le profonde differenze di organizzazione anatomofunzionale, i tre cervelli non possono comunicare tra di loro in modo efficace. Di conseguenza agli uomini accade di vivere in un costante conflitto interiore, lacerati fra le differenti esigenze dei tre livelli evolutivi. L’umanità sarebbe afflitta da una innata frattura neuropsicologica tra razionalità e irrazionalità. Secondo l’elegante sistematizzazione di MacLean, il sistema emozionale sarebbe quindi un residuo ancestrale che deve essere tenuto sotto controllo dalla parte più evoluta, cognitiva, del sistema nervoso.

Al contrario solo l’integrazione tra aspetti emotivi e aspetti cognitivi appare in grado di assicurare un comportamento adeguato. Con le parole di Damasio, “l’emozione e il sentimento sono indispensabili alla razionalità; … le decisioni personali e sociali sono cariche di incertezza; … quando siamo di fronte all’incertezza, emozione e sentimento ci assistono nello scoraggiante compito di prevedere un futuro incerto e di pianificare in sintonia le nostre azioni“.

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