Simili strategie, comunque, sono «cavalli di battaglia» di uomini e donne innamorati soltanto di se stessi. Costoro non sperano di incontrare un partner. Soprattutto, mancando di una reale autostima, non lo credono possibile e alimentano la loro infelicità (e quella altrui!) ricattando ogni amante che incontrano e rendendolo comunque indegno delle loro aspirazioni e, alla fine, anche responsabile dei propri fallimenti. Per costoro, l’amato sarà sempre assolutamente inadeguato a soddisfare le loro aspettative e, per questo, colpevole e soggetto al ricatto di dover, in qualche modo, espiare, sentendo il loro maltrattamento e il ripudio, tale grave mancanza.
Infine, allorquando il partner se ne andrà (magari per l’incapacità di sconfiggere l’ultimo e il più crudele dei loro ricatti affettivi), i «ricattatori» scopriranno, all’improvviso, la consistenza della loro dipendenza amorosa dalla persona che hanno fatto fuggire o che hanno emotivamente, sentimentalmente, psicologicamente distrutto. Ed è allora che essi inizieranno a provare l’amore. Attraverso l’assenza dell’oggetto d’amore e inseguendo i ricordi amorosi che ogni lutto lascia al sopravvissuto erede di un amore perduto, costoro tenteranno di educare se stessi ad amare per «tornare nella casa della loro anima». Là giunti, nella casa dell’anima, rivisiteranno non soltanto limiti ed errori dell’altro ma si misureranno, forse, anche con i propri vuoti. Per costoro, infatti, crescere è un atto solitario, le lacrime e la solitudine del quale costituiscono la sola speranza che, un giorno, anche il loro deserto possa fiorire.
(Maria Rita Parsi) – “Amori imperfetti”