La strada del paese è ancora in ombra, e il terreno è duro e freddo sotto i miei piedi nudi; però, dopo il sottopassaggio ferroviario, la fitta polvere del sentiero che porta al fiume mi penetra fra le dita con un tepore piacevole, e piccole nuvolette si sollevano nell’aria tranquilla dalle orme della bestia che trotterella innanzi a me. Già stridono i grilli e le cicale, e dai prati vicini mi giunge il canto di un rigogolo e di una capinera: grazie a Dio, cantano ancora, vuol dire che l’estate è ancora giovane.
La strada passa attraverso un prato appena falciato, e Susi fa una deviazione perché questo è il famoso prato dei sorci: assume una strana andatura strisciante a gambe rigide, tiene la testa eretta, e il suo muso rivela un’estrema tensione; la coda, tutta tirata sotto il corpo, si abbassa fino a terra. Susi sembra una volpe azzurra divenuta troppo grassa. D’un tratto spicca un balzo in avanti descrivendo un’alta parabola, fa un salto di quasi un metro di altezza e due buoni metri di lunghezza, e va a cadere sulle zampe anteriori, strette insieme e protese in un punto in cui con velocità fulminea incomincia a menare i denti nell’erba corta. Ansimando rumorosamente fruga la terra col suo naso aguzzo, poi alza la testa e la coda e mi guarda scodinzolando con un sorriso imbarazzato: il sorcio non c’è più! Nessuno mi potrà convincere che Susi, entro certi limiti, non «si vergogni» quando uno di quei suoi grossi salti fa cilecca, e sia invece orgogliosa se riesce ad acchiappare il sorcio.
Anche i quattro salti successivi falliscono lo scopo: i topi di campagna sono incredibilmente agili e svelti. Ma ecco… Susi vola in aria come una palla di gomma, e quando le sue zampe toccano nuovamente terra si ode distintamente un acuto squittio: la cagna chiude le mascelle, poi con un rapido scossone lascia cadere ciò che ha afferrato, e un corpicino grigio descrive sibilando un arco nell’aria, e dietro Susi, un arco più alto; poi Susi afferra diverse volte con le labbra molto sollevate, addentandolo solo con gli incisivi, un qualcosa che squittisce e si agita nell’erba. Quindi si volta verso di me, mostrandomi il topo di campagna, bello grasso e assai mal ridotto, che tiene nelle fauci. Io manifesto la debita ammirazione e la rassicuro: è proprio un animale feroce e temibile, degno di ogni stima. Mi dispiace molto per il topo, ma lui non lo conoscevo personalmente, mentre Susi è una mia grande amica, e io ho addirittura il dovere di rallegrarmi dei suoi trionfi. Comunque la mia coscienza si tranquillizza, poiché Susi divora il sorcio, e questa è l’unica possibile giustificazione per l’uccisione di un animale. La cagna stritola la bestiola fra i suoi incisivi, riducendola a una massa informe ma ancora compatta, poi spinge la preda in fondo alla bocca, incomincia a spezzettarla con i canini e quindi a inghiottire. Ora per il momento ne ha abbastanza di caccia ai sorci e mi propone di proseguire il cammino.
(Konrad Lorenz) – “L’anello di Re Samolone”