Il principe felice (3)
Alta sulla città, in cima ad un’imponente colonna, si ergeva la statua del Principe Felice. Lui era tutto coperto di sottili foglie d’oro finto, come occhi aveva due zaffiri lucenti, e un grande rubino rossi scintillava sull’elsa della sua spada. E veramente era ammiratissimo. “È bello come una banderuola” osservò uno dei Consiglieri Comunali che voleva farsi una reputazione di possessore di gusti artistici; solo “no altrettanto utile” aggiunse, per paura che la gente lo considerasse poco pratico, accusa che non ci poteva cero rivolgere.
“Perché non puoi essere come il Principe Felice?” chiese una saggia madre al figlioletto che piangeva domandando la luna. “Il Principe Felice non si sogna mai di piangere per nessun motivo.”
“Mi fa piacere che ci sia qualcuno veramente felice al mondo” borbottò un uomo deluso guardando la statua meravigliosa. “Sembra proprio un angelo” dissero gli Orfanelli uscendo dalla cattedrale con le loro vivaci mantelline rosse e lindi grembiulini bianchi.
“Che ne sapete voi?” disse il Maestro di Matematica; “non l’avete mai visto, un angelo.”
“Ah! Ma sì, invece, in sogno” risposero i bambini; e il Maestro di Matematica si accigliò e assunse un’espressione molto severa, perché non approvava che i bambini sognassero.
Una notte volò sulla città una piccola Rondine. Le sue amiche erano volate in Egitto già da sei settimane, ma lei era rimasta indietro, perché si era innamorata di un bellissimo Giunco. Lo aveva conosciuto all’inizio della primavera mentre planava lungo il fiume, all’inseguimento di un grosso insetto, ed era stata così attratta dalla sua vita sottile che si era fermata a parlagli.
“Posso amarti?” disse la Rondine, che amava andare subito al sodo, e il Giunco le rivolse un profondo inchino. Così quella continuò a volargli intorno, toccando l’acqua con le ali e formando delle increspature d’argento. Era il suo modo di fare la corte, e durò tutta l’estate.
“Ridicola passione” cinguettarono le altre Rondini; “quello è povero in canna, ha troppi parenti”; e per la verità il fiume era affollatissimo di Giunchi. Poi, al sopraggiungere dell’autunno, volarono tutte via.
Quando le altre furono partite, la Rondine si sentì sola, e cominciò a stancarsi del suo bello. “Non sa fare conversazione” disse “e poi mi sembra un po’ leggero, sempre a civettare col vento.” Infatti era vero: a ogni soffiar di vento il giunco eseguiva le riverenze più aggraziate. “Gli do atto delle sue virtù casalinghe” continuò la rondine “ma io amo viaggiare, e di conseguenza anche mio marito dovrebbe essere amante dei viaggi.”
“Vuoi venire con me?” gli chiese da ultimo, ma il Giunco scosse il capo, tanto era attaccato alla casa.
“Mi hai presa in giro” esclamò la Rondine. “Io parto per le piramidi. Addio!” E volò via.
Volò tutto il giorno, e la notte arrivò nelle città. “Dove mi fermo?” disse; “Speriamo che la città abbia fatto dei preparativi.”
Poi vide la statua sull’alta colonna.
“Mi sistemo qui” esclamò; “la posizione è bella, con tanta aria fresca” e atterrò proprio fra i piedi del Principe Felice. “Ho una camera da letto tutta d’oro” si disse piano, guardandosi intorno, si preparò a dormire; ma proprio nel momento in cui stava mettendosi il capo sotto l’ala le cadde addosso una grossa goccia d’acqua. “Curioso!” esclamò la Rondine; “Non c’è neanche una nuvola in tutto il cielo, le stelle sono limpide luminose, eppure piove. Il clima dell’Europa settentrionale è proprio tremendo. Al Giunco piaceva la pioggia, ma era puro egoismo.”
Poi venne giù un’altra goccia.
“Ma a che serve una statua se nemmeno ti ripara dalla pioggia?” disse la Rondine; “Dovrò cercarmi un buon comignolo” e decise di andarsene.
Ma prima che avesse aperto le ali venne giù una terza goccia, e la Rondine guardò in alto, e vide… Ah! Che cosa vide?
Gli occhi del Principe Felice erano pieni di lacrime e altre lacrime gli scivolarono giù lungo le guance d’oro. Il suo viso era così bello alla luce della luna che la Rondine fu piena di pietà.
“Chi sei?” chiese.
“Sono il Principe Felice.”
“E allora perché piangi?” chiese la Rondine; “Mi hai completamente inzuppata.”
“Quando ero vivo e avevo un cuore umano” rispose la statua “non sapevo che cosa fossero le lacrime, perché vivevo nel Palazzo di Sans-Souci, dove il dolore non ha accesso. Il giorno giocavo con i miei compagni nel giardino, e la sera guidavo le danze nel Salone. Il giardino era circondato da un muro altissimo, ma io non ho mai domandato che cosa c’era dall’altra parte, tanto era bello tutto quello che avevo intorno. I cortigiani mi chiamavano il Principe Felice, e veramente ero felice, se il piacere è felicità. Così vissi. E così morii. E ora che sono morto mi hanno messo quassù, così alto che posso vedere tutte le brutture e la miseria della mia città, e benché abbia il cuore fatto di piombo, non posso fare a meno di piangere.”
“Come? Non è d’oro massiccio?” si disse la Rondine. Era troppo bene educata per fare osservazioni a voce alta sulle persone. “Laggiù” continuò la statua in tono basso, musicale “laggiù in una stradina c’è una povera casetta. Una finestra è aperta, e da questa posso vedere una donna seduta a tavola. Ha il viso magro e stanco, e le mani ruvide, rosse, tutte bucate dall’ago, perché fa la cucitrice. Ricama passiflore su di una sottana di raso per la più bella damigella d’onore della Regina, che la metterà al prossimo ballo a Corte. In un lettino nell’angolo giace malato il suo bambino. Ha la febbre, e chiede della arance. Sua madre non ha altro da dargli che un po’ d’acqua di fiume, e lui piange. Rondine, Rodine, piccola Rondine, vuoi portare il rubino dell’elsa della mia spada? Io ho i piedi attaccati a questo piedistallo e non posso muovermi…”
“Mi aspettano in Egitto” disse la Rondine. “Le mie amiche stanno svolazzando su e giù lungo il Nilo, e chiacchierano con i grandi fiori di loto. Ben presto si addormenteranno nel sepolcro del gran Re. C’è anche il Re in persona lì dentro, nella sua bara dipinta. È avvolto in lenzuola gialle, e imbalsamato di spezie. In intorno al collo ha una collana di pallida giada verde, e le sue mani sono simili a foglie secche.”
“Rondine, Rondine, piccola Rondine” disse il Principe “non vuoi restare con me una sola notte, e farmi da corriere? Quel bambino ha sete, e sua madre è tanto triste.”
“A me i bambini non piacciono mica tanto” rispose la Rondine. “Questa estate, quando ero al fiume, c’erano due bambini maleducati, i figli del mugnaio, che mi tiravano sempre sassi. Non mi hanno mai colpita, naturalmente; noi rondini voliamo troppo bene, e poi io vengo da una famiglia famosa per l’agilità; ma in ogni modo è stata una bella mancanza di rispetto:” Ma il Principe Felice aveva il volto così triste che la piccola Rondine si commosse. “Fa un gran freddo qua” disse; “ma mi fermerò da te per una notte, e ti farò da corriere.”
“Ti ringrazio, piccola Rondine” disse il Principe. Così la Rondine spiccò il grande rubino dalla spada del Principe, e volò via tenendolo nel becco, sui tetti della città.
Passò accanto alla torre della cattedrale, dov’erano scolpiti i bianchi angeli di marmo. Passò accanto al palazzo e sentì ballare. Una bella fanciulla uscì sul balcone con l’innamorato. “Che meraviglia, le stelle” le diceva lui “e che meraviglia la potenza dell’amore!”.
“Spero che il vestito sia pronto in tempo per il Grande Ballo” rispose lei; “mi ci sono fatta ricamare delle passiflore: ma le cucitrici sono di una tale pigrizia.”
Attraversò il fiume, e vide le lanterne appese agli alberi delle navi. Sorvolò il tetto e vide i vecchi Ebrei intenti a mercanteggiare fra loro, e a pesare monete su bilance di rame. Da ultimo giunse alla casupola e guardò dentro. Il bambino si agitava nel letto, in preda alla febbre, e la madre, esausta, si era assopita. La Rondine entrò con un balzo e posò il grande rubino sul tavolo accanto al ditale delle donna. Poi svolazzò delicatamente in torno al letto, facendo vento con le ali sulla fronte del piccolo. “Che bel fresco!” disse il bambino “si vede che miglioro”; e sprofondò in un sonno delizioso. Dopodiché la Rondine tornò dal Principe Felice e gli disse quello che aveva fatto. “È strano” osservò “ma adesso mi sento bella calda, malgrado il gran freddo che fa”.
“È perché hai compiuto una buona azione” disse il Principe. E la piccola Rondine si mise a riflettere, e quindi si addormentò. Riflettere le metteva sempre sonno.
Quando fu giorno si recò al fiume e fece il bagno. “Fenomeno notevole!” disse il Professore di Ornitologia, attraversando il ponte. “Una rondine d’inverno!” E scrisse in proposito una lunga lettera al giornale locale. La citarono tutti, tanto era piena di parole che non si capivano.
“Questa sera vado in Egitto” disse la Rondine, e la prospettiva la mise di buonumore. Visitò tutti i monumenti pubblici, e rimase per lungo tempo appollaiata in cima al campanile della chiesa. Dovunque andava i Passeri cinguettavano, e si dicevano, “Che straniera distinta!” e quindi si divertì un mondo.
Quando spuntò la luna tornò dal Principe Felice. “Ti serve niente in Egitto?” esclamò; “Sono in partenza.”
“Rondine, Rondine, piccola Rondine” disse il Principe “non vuoi restare con me ancora una notte?”
“Sono attesa in Egitto” rispose la Rondine; “donami le mie amiche voleranno su fino alla Seconda Cateratta. Lì fra i papiri si corica il cavallo del fiume, e assiso su di un gran trono di granito siede il Dio Memnone. Tutta la notte egli guarda le stelle, e quando si affaccia la stella del mattino emette un grido di gioia, e poi tace. Al mezzodì i gialli leoni scendono al bordo dell’acqua per bere. Hanno occhi come berilli verdi, e il loro ruggito è più forte del ruggito della cateratta.” “Rondine, Rondine, piccola Rondine” disse il Principe “laggiù, lontano, all’altro capo della città, vedo un giovane in una soffitta. È curvo su di uno scrittoio coperto di fogli, e in una brocca al suo fianco c’è un mazzo di violette avvizzite. Ha i capelli ricci, castani, e la bocca rossa come un melograno, e occhi grandi e sognanti. Sta tentando di terminare una commedia per il Direttore del Teatro, ma ha troppo freddo per continuare a scrivere. Non c’è fuoco nel focolare, e la fame lo ha reso debole.”
“Aspetterò ancora una notte con te” disse la Rondine, che aveva ancora buon cuore. “Vuoi che gli porti un altro rubino?”
“Ahimè! Non ho più rubini” disse il Principe: “non mi rimangono più che i miei occhi. Sono due zaffiri rari, portati dall’India mille anni fa. Cavamene uno e portaglielo. Lo venderà al gioielliere, e si comprerà della legna da ardere, e finirà la sua commedia.”
“Caro Principe” disse la Rondine “questo non poso farlo”; e si mise a piangere.
“Rondine, Rondine, piccola Rondine” disse il Principe “fa’ come ti comando.”
Così la Rondine cavò l’occhio al Principe, e se ne volò alla soffitta dello studente. Entrarvi fu abbastanza facile, perché c’era un buco nel tetto. La Rondine schizzò dentro di lì ed entrò nella stanza. Il giovane aveva il capo affondato nelle mani, e pertanto non udì il fruscio delle ali dell’uccello, e quando alzò lo sguardo trovò il bello zaffiro posato sulle violette secche.
“Cominciano ad apprezzarmi” esclamò; “questo lo manda qualche mio grande ammiratore. Ora potrò finire la mia commedia” e parve tutto contento.
Il giorno dopo la Rondine volò giù al porto. Si posò sull’albero maestro di una grande nave e guardò i marinai che con delle funi tiravano su delle grosse casse dalla stiva. “Oh-issa!” gridavano all’apparire di ciascuna. “Io vado in Egitto!” esclamò la Rondine, ma nessuno le badò, e allo spuntar della luna tornò dal Principe Felice.
“Sono venuta a salutarti!” disse.
“Rondine, Rondine, piccola Rondine” disse il Principe “non vuoi restare con me ancora una notte?” “È inverno” rispose la Rondine” e la fredda neve sarà presto qui. In Egitto il sole sulle palme verdi è caldo, e i coccodrilli sono distesi nel fango e si guardano intorno pigri. Le mie compagne si costruiscono il nido nel Tempio di Baalbek, sotto lo sguardo delle tubanti colombe bianche e rosa. Caro Principe, io ti devo lasciare, ma non ti dimenticherò mai, e a primavera ti porterò due bellissimi gioielli al posto di quelli di cui ti sei privato. Il rubino sarà più grosso di una rosa rossa, e lo zaffiro sarà azzurro come il grande mare.”
“Nella piazza qui sotto” disse il Principe Felice “c’è una piccola fiammiferaia. I fiammiferi le sono caduti nel fango, e ora non servono più a niente. Piange, perché se non riporta a casa qualche soldo suo padre la picchierà. Non ha scarpe né calze, e ha la testolina nuda. Cavami l’altro occhio e portaglielo, così che suo padre non la picchi.”
“Rimarrò con te un’altra notte” disse la Rondine “ma no posso cavarti anche l’altro occhio. Rimarresti cieco del tutto.”
“Rondine, Rondine, piccola Rondine” disse il Principe “fa’ come ti comando.”
Così la Rondine cavò l’altro occhio del Principe, e tenendolo saldamente schizzò giù. Piombò sulla piccola fiammiferaia e le fece scivolare la gemma nel palmo della mano. “Che bel pezzetto di vetro!” esclamò la bambina; e corse a casa, ridendo. E la Rondine tornò dal Principe. “Ora sei cieco” disse “e quindi io rimarrò con te per sempre.”
“No, piccola Rondine” disse il povero Principe “tu devi partire per l’Egitto.”
“Rimarrò con te per sempre” disse la Rondine, e dormì ai piedi del Principe.
Durante tutto il giorno dopo rimase sulla spalla del Principe, e gli raccontò storie di quello che aveva visto in paesi lontani. Gli raccontò delle ibis rosse che stanno ritte in lunghe file sulle sponde del Nilo, e catturano col becco pesci d’oro; della Sfinge, che è vecchia quanto il mondo, e vive nel deserto, e sa ogni cosa; dei mercanti, che avanzano lenti accanto ai loro cammelli e portano in mano perline d’ambra; del Re dei Monti della Luna, che è nero come l’ebano, e venera un grande cristallo, del grande serpente verde che dorme in una palma, e ha venti sacerdoti addetti a sfamarlo con torte di miele, e dei pigmei che attraversano un grande lago su ampie foglie piatte, e sono sempre in guerra con le farfalle.
“Cara piccola Rondine” disse il Principe “tu mi racconti cose meravigliose, ma più meravigliosa di tutto è la sofferenza di uomini e donne. Non c’è Mistero grande come la Miseria. Vola sulla mia città, piccola Rondine, e dimmi cosa vedi.”
Così la Rondine volò sopra la grande città, e vide i ricchi far festa nelle loro case, mentre i poveri sedevano ai portoni. Volò dentro vicoli bui, e vide i visi bianchi di bambini affamati fissare senza pace le strade oscure. Sotto l’arcata di un ponte due bambinetti giacevano abbracciati per cercare di tenersi caldi. “Quanta fame abbiamo!” dicevano. “Qui non potete stare” gridò il guardiano, e uscirono fuori sotto la pioggia.
Poi la Rondine tornò a raccontare al Principe quanto aveva visto.
“Io sono coperto di oro fino” disse il Principe, “devi togliermelo di dosso, una foglia alla volta, e distribuirlo ai miei poveri; i vivi credono sempre che l’oro possa renderli felici.”
Una foglia dopo l’altra dell’oro staccò la Rondine, finché il Principe Felice parve affatto grigio e opaco. Una foglia dopo l’altra dell’oro fino portò ai poveri, e i visi dei bambini si fecero più rosei, e i bambini risero e giocarono nelle strade. “Abbiamo il pane ora!” gridarono.
Poi venne la beve, e dopo la neve il ghiaccio. Le strade sembravano fatte d’argento, tanto luccicavano e brillavano; lunghe stalattiti simili a pugnali di ghiaccio pendevano delle grondaie delle case, tutti giravano in pelliccia e i ragazzini portavano berretti scarlatti e pattinavano sul ghiaccio.
La povera piccola Rondine aveva sempre più freddo, ma non voleva lasciare il Principe, gli voleva troppo bene. Piluccava delle briciole davanti alla porta del fornaio quando questi non la guardava, e tentava di scaldarsi battendo le ali.
Ma da ultimo si rese conto che sarebbe morta. Ebbe appena la forza di volare sulla spalla del Principe un’ultima volta.
“Arrivederci, caro Principe!” mormorò; “Posso baciarti la mano?”
“Mi fa piacere che finalmente tu parta per l’Egitto, piccola Rondine” disse il Principe “ti sei fermata troppo tempo qui; ma mi devi baciare sulla bocca, perché io ti voglio bene.”
“Non è in Egitto che vado” disse la Rondine. “Vado nella Casa della Morte. La Morte è la sorella del Sonno, non è vero?” E baciò sulla bocca il Principe Felice, e gli cadde morta ai piedi.
In quel momento un curioso schianto risuonò all’interno della statua, come se qualcosa si fosse spezzato. E infatti il cuore di piombo si era spaccato in due. La gelata era certo stata molto dura.
La mattina dopo di buon’ora il Sindaco passava nella piazza sottostante in compagnia dei Consiglieri Comunali. Trovandosi sotto la colonna guardò la statua: “Povero me! In che stato è ridotto il Principe Felice!” disse.
“Davvero, in che stato!” esclamarono i Consiglieri Comunali, che davano sempre ragione al Sindaco: e salirono su a guardarlo. “Gli è caduto il rubino della spada, non ha più gli occhi, e non è più dorato” disse il Sindaco; “di fatto, è ridotto poco meglio di un mendicante!”
“Poco meglio di un mendicante” dissero i Consiglieri Comunali.
“Non solo, ha perfino un uccello morto ai piedi!” continuò il Sindaco. “Dobbiamo proprio emanare un decreto che proibisca agli uccelli di morire qui.” E il Segretario Comunale si appuntò la proposta.
Così abbatterono la statua del Principe Felice. “Dal momento che non è più bello, non è più utile” disse il Professore di Arte all’Università.
Poi fusero la statua in una fornace, e il Sindaco tenne una riunione della Corporazione per decidere a quale uso destinare il metallo. “Dobbiamo farci un’altra statua, naturalmente” disse “e sarà una statua rappresentante me.”
“No me” disse ciascuno dei Consiglieri Comunali, e litigarono. Litigavano ancora l’ultima volta che ne ho sentito parlare. “Che cosa strana!” disse il caposquadra degli operai della fonderia. “Questo cuore di piombo rotto non vuole fondersi nella fornace. Bisogna buttarlo.” Così lo buttarono sopra un mucchio di rifiuti dove si trovava già la Rondine morta.
“Portami le due cose più preziose della città” disse Dio a uno dei suoi Angeli; e l’Angelo gli portò il cuore di piombo e l’uccello morto.
“Hai scelto bene” disse Dio “perché nel mio giardino del Paradiso questo uccellino canterà per sempre, e nella mia città d’oro il Principe Felice pronuncerà le mie lodi.”
(Oscar Wilde) – “Il principe felice e altri racconti” – fiaba 3