Come si possono esprimere adeguatamente i propri sentimenti per un amico speciale, quando quell’amico è anche un’icona mondiale, un eroe nazionale di dimensioni inimmaginabili, e una leggenda il cui nome vivrà nella storia molto dopo che tutti coloro che oggi sono qui saranno stati dimenticati? Un uomo che, quando diventava tuo amico, era un amico per tutta la vita? Non sono sicuro che sia possibile, ma ci proverò.
Neil Armstrong crebbe in una fattoria nel Midwest d’America e da ragazzino, come la maggior parte dei ragazzi, consegnava i giornali, tosava i prati e spalava la neve, e il fascino che avevano su di lui i modelli d’aereo fece nascere un sogno. Il sogno di diventare un ingegnere aeronautico. Neil ebbe il primo assaggio del volo quando aveva soltanto sei anni, e da quel giorno in poi non si guardò mai indietro. Anche se aveva sempre desiderato progettare e riprogettare aerei per far fare loro quello che non dovevano poter fare, una volta provato il volo, gli occhi di Neil si rivolsero al cielo, ed era lì che desiderava sempre essere. Mai avrebbe immaginato che il suo sogno, il suo anelito di veleggiare con le aquile, un giorno gli avrebbe dato la possibilità di essere il primo essere umano ad andare là dove nessuno era mai giunto prima.
Neil Armstrong era un uomo sinceramente umile, dall’integrità impeccabile, che accettò con riluttanza il proprio ruolo come primo essere umano a camminare su un altro mondo. E quando lo fece divenne un’attestazione vivente – un’attestazione per tutti gli americani di ciò che si può ottenere tramite la visione e la dedizione. Ma per Neil non era lui il protagonista. Eravate voi. Le vostre madri e i vostri padri, i vostri nonni. Quelli di una generazione fa, che diedero a Neil la possibilità di chiamare casa propria la luna. Ma mai, mai Neil si considerò centrale. Neil si vedeva semplicemente come la punta della freccia, sempre pronto a cedere il riconoscimento a ben 400.000 americani altrettanto impegnati e risoluti – gli americani che erano la forza dietro l’arco – e a dare sempre riconoscimento a coloro che semplicemente non sapevano che quello che dovevano fare era impossibile.
E in questo stanno la forza e il carattere di Neil Armstrong. Sapeva chi era, e capiva l’immensità di ciò che aveva fatto, eppure Neil era sempre disponibile a offrirsi. Quando Neil, Jim Lovell ed io avemmo modo di far visita alle truppe in Iraq e Afghanistan, in tre diverse occasioni, incontrandole nelle docce, nei centri di controllo, persino nei blindati e sugli elicotteri, quei giovani uomini e quelle giovani donne, tracimanti d’entusiasmo, non ancora al mondo quando Neil camminò sulla luna, erano incantati dalla sua presenza. Nella sua maniera così tipica, Neil entrava in una sala, si presentava – come se loro non sapessero chi fosse – stringeva la mano a tutti, uno per uno, e chiedeva sempre “Ehi, come va?”. Un Marine, curioso e travolto dall’emozione, gli chiese: “Signor Armstrong, perché lei è qui?” La risposta meditata e sinceramente onesta di Neil fu “Perché voi siete qui”. Neil era speciale per quei giovani – e anche per alcuni dei meno giovani.
Sebbene fosse profondamente orgoglioso di essere un pilota della marina, essendo un civile all’epoca del suo volo, Neil non ricevette mai le ali d’astronauta: erano una tradizione dei militari. Fu sulla USS Eisenhower, nel 2010, mentre andavamo in Afghanistan, che finalmente Neil ricevette il tributo che si meritava. La sua risposta, visibilmente commossa, fu eloquentissima. Cito: “Non sono mai stato più orgoglioso di quando mi sono guadagnato le mie ali d’oro in Marina”. E devo pensare che ci sono alcune aquile d’oro fra il pubblico che concorderanno con queste parole.
Cercare di entrare nell’intimo di Neil era sempre una sfida per quasi tutti – forse per tutti. Un giorno uno sconosciuto gli chiese: “Signor Armstrong, cosa provò quando stava cercando un posto per atterrare sulla luna, con soli quindici secondi di carburante rimasti?” Nella maniera che solo Neil poteva usare – e so che alcuni di voi gliel’hanno visto fare – univa il pollice e l’indice, chinava la testa di lato, appoggiava la mano sul volto e diceva “Be’, quando l’indicatore segna vuoto, sappiamo tutti che nel serbatoio ci sono ancora un paio di litri!”. Ecco, questo è un uomo che è sempre stato padrone del proprio destino. E questo, signore e signori, è il classico Neil Armstrong.
Il destino ci è stato generoso quando ha scelto Neil come primo ad avventurarsi su un altro mondo e ad avere la possibilità di volgersi indietro, dallo spazio, verso la bellezza del nostro mondo. Sarebbe potuto essere qualcun altro, ma non lo fu, e per una buona ragione. Nessuno, nessuno, ma proprio nessuno avrebbe potuto accettare la responsabilità del suo risultato straordinario con più dignità e grazia di Neil Armstrong. Lui rappresentava tutto quello che c’è di buono e di grande dell’America.
Neil, dovunque tu sia lassù, quasi mezzo secolo dopo ci stai mostrando ancora una volta la via verso le stelle. Per te, ora, c’è un nuovo inizio; ma per noi, te lo prometto, non è la fine. E mentre veleggi nei cieli oltre dove osano le aquile, puoi finalmente tendere la mano e toccare il volto di Dio.
Addio, amico mio. Ci hai lasciato troppo presto. Ma vogliamo farti sapere che serbiamo come un tesoro il tempo che abbiamo speso e condiviso insieme.
Dio ti benedica, Neil.
Questa è la traduzione a cura di Paolo Attivissimo del saluto al primo uomo sulla Luna, Neil Armstrong, dall’astronauta Gene Cernan, l’ultimo uomo sulla Luna.
Articolo originale che vi invito a leggere.